LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI COMO 
                              sezione V 
 
    Riunita con l'intervento dei Signori: 
    Chiaro Domenico, Presidente, 
    Vitali Angelo, Relatore, 
    Amore Giorgio, Giudice. 
    Ha emesso la seguente ordinanza: 
        sul ricorso  n.  347/13  depositato  il  02/05/2013,  avverso
avviso di accertamento n. T9K010800959 Irpef-Add.Reg.  2007,  avverso
avviso di accertamento n. T9K010800959 Irpef-Add.Com.  2007,  avverso
avviso di accertamento n. T9K010800959 Irpef-Altro 2007, contro:  Ag.
Entrate Direzione Provinciale Como; 
    proposto dal ricorrente: Barsocchi  Angelo, Via  ai  Crotti  8  -
22031 Albavilla (CO); 
    difeso da: Terenghi Rag. Gabriella, Via dei Mille n. 13  -  22100
Como (CO); 
        sul ricorso  n.  609/13  depositato  il  02/10/2013,  avverso
avviso  di  accertamento  n.  T9K010800629/13  Irpef-Add.Reg.   2008,
avverso avviso  di  accertamento  n.  T9K010800629/13  Irpef-Add.Com.
2008, avverso avviso di accertamento n.  T9K010800629/13  Irpef-Altro
2008, contro: Ag. Entrate Direzione Provinciale Como; 
    proposto dal ricorrente: Barsocchi Angelo - Via  ai  Crotti  8  -
22031 Albavilla (CO); 
    difeso da: Terenghi Gabriella - Via dei Mille n. 13 - 22100  Como
(CO) - Barsocchi Angelo - R.G. nn. 347/13 e 609/13. 
    Con un primo ricorso depositato in data 2.5.2013  ed  assunto  al
numero di  R.G.  347/13  il  signor  Barsocchi  Angelo  ha  impugnato
l'avviso di accertamento n. T9K010800959/2012, con il quale l'Agenzia
delle  Entrate  -  Direzione  Provinciale  di   Como   ha   accertato
sinteticamente, per il periodo di imposta 2007,  un  maggior  reddito
IRPEF di € 36.212,00 ai sensi dell'art. 38 del D.P.R.  29.9.1973,  n.
600, sulla  base  dell'esistenza  di  beni  indicativi  di  capacita'
contributiva  (due  autovetture  e  la  residenza  principale)  e  di
incrementi patrimoniali (acquisto di un'autovettura), ingiungendo  il
pagamento della relativa differenza di  imposta,  oltre  interessi  e
sanzioni per dichiarazione infedele. 
    Con un successivo ricorso depositato in data 2.10.2013 ed assunto
al  numero  di  R.G.  609/13   ha   impugnato   anche   l'avviso   n.
T9K010800629/2013  relativo  al  periodo  di  imposta  2008,  recante
l'accertamento di  un  maggior  reddito  IRPEF  di  31.845,00,  oltre
interessi e sanzioni. 
    I due avvisi di accertamento impugnati sono  stati  emessi  sulla
base  dei  dati  e  delle  informazioni  forniti   dal   contribuente
all'amministrazione   finanziaria   in   risposta   al   questionario
inviatogli ai sensi dell'art. 32 comma 1 n. 4 del D.P.R. n.  600/1973
(cfr.   doc.   3   allegato   alle   controdeduzioni   dell'Ufficio),
questionario che recava espressamente l'avvertimento di rito ex  art.
32  comma  4   del   D.P.R.   n.   600/1973   circa   la   successiva
inutilizzabilita' in sede giurisdizionale dei dati e  degli  elementi
non tempestivamente dichiarati. 
    A sostegno di entrambi i gravami il contribuente ha  dedotto  due
articolati motivi di ricorso, rubricati come segue. 
    1. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 38 c. 4 e ss.  del
D.P.R. n. 600/1973. Illegittimita' dell'accertamento per  difetto  di
motivazione, carente sotto il  profilo  sostanziale  e  della  prova.
Insussistenza degli elementi  e  delle  circostanze  di  fatto  certi
previsti dall'art. 38 c. 4 D.P.R. n. 600/1973.  Illegittimita'  degli
avvisi  di  accertamento  basati  su  una  presunzione  semplice  non
assistita dai requisiti della  gravita',  precisione  e  concordanza.
Illegittimita'  degli  avvisi  di  accertamento  per   omissione   di
contraddittorio con il contribuente, preventivo alla  notifica  degli
stessi. 
    2. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 38 c. 4 e ss.  del
D.P.R. n. 600/1973,  nella  formulazione  normativa  vigente  ratione
temporis, anteriore alle modifiche normative introdotte dal  D.L.  n.
78/2010.  Insussistenza   dei   requisiti   di   legittimita'   degli
accertamenti costituiti dallo scostamento di 1/4 - e per  almeno  due
periodi di imposta - tra il reddito  «sinteticamente»  accertabile  e
quello dichiarato. 
    In particolare, il contribuente lamenta  il  mancato  esperimento
del contraddittorio preventivo previsto dalla novella introdotta  con
l'art. 22 del D.L. 31.5.2010, n. 78 (convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 30.7.2010, n. 122)  ed  evidenzia,  offrendo  i  relativi
elementi di prova: 1) di aver percepito, negli anni 2007 e 2008,  una
pensione di invalidita', rispettivamente di € 3.157,00 ed € 3.207,00;
2) che l'autovettura  modello  Lancia  Ypsilon  acquistata  nel  2006
costituisce bene strumentale,  rilevante  ai  fini  dell'accertamento
redditometrico soltanto nella misura del 50%;  3)  che  l'autovettura
Kia Karens acquistata nel  2009  e'  stata  integralmente  acquistata
mediante un finanziamento, sicche' non  puo'  essere  ragionevolmente
assunta, quale incremento patrimoniale (per 1/5, pari ad € 3.894,00),
per determinare la capacita' contributiva per gli anni precedenti. 
    Sebbene il contribuente non dichiari - ex art.  32  comma  5  del
D.P.R. n.  600/1973  -  di  non  aver  compiutamente  adempiuto  alle
richieste degli uffici per una causa a lui non imputabile,  nondimeno
ritiene che di  tali  dati  l'amministrazione  debba  necessariamente
tenere  conto  ai  fini  della  ricostruzione  della  sua   effettiva
capacita' contributiva. 
    Ne conseguirebbe, rielaborando il reddito sulla base degli indici
di capacita' contributiva  corretti  alla  luce  dei  nuovi  elementi
forniti - seppur tardivamente - con l'atto introduttivo del giudizio,
un reddito accertabile per l'anno  2008  pari  ad  € 45.857,78,  che,
rispetto  al  reddito  dichiarato  dell'intero  nucleo  familiare  (€
35.253,00 + 3.207,00 di  pensione  di  invalidita'  =  €  38.460,00),
determina uno scostamento (€ 7.397,78) inferiore al 25% (38.460,00  x
1/4 = € 9.615,00), sicche' non sussisterebbe il presupposto normativo
dello scostamento biennale richiesto dall'art. 38 comma 4 del  D.P.R.
n. 600/1973 per procedere all'accertamento  del  reddito  complessivo
con metodo sintetico. 
    Si e' costituita in entrambi i giudizi l'Agenzia  delle  Entrate,
la quale rileva come, per espressa disposizione dell'art. 22 del D.L.
31.5.2010,  n.  78,  l'obbligo  del  contraddittorio  preventivo   si
applichi soltanto per gli accertamenti  relativi  ai  redditi  per  i
quali il termine di dichiarazione non era ancora scaduto alla data di
entrata in vigore del decreto, e  cioe'  a  partire  dal  periodo  di
imposta 2009, e non sia dunque applicabile alla fattispecie in esame,
concernente i periodi di imposta 2007 e 2008. 
    Nel merito l'Agenzia delle Entrate non  contesta  la  sussistenza
degli elementi forniti dal contribuente  circa  la  percezione  della
pensione di  invalidita',  l'utilizzo  promiscuo  di  un'auto  ed  il
finanziamento per l'acquisto dell'altra, ma sostiene che questi  dati
non possono essere presi in considerazione - ex art. 32 comma  4  del
D.P.R. n. 600/1973 - in quanto  non  tempestivamente  indicati  nella
risposta al questionario notificatogli. 
    Previo scambio delle memorie conclusive,  alla  pubblica  udienza
del 28 gennaio 2014 entrambi i ricorsi - previa loro riunione -  sono
stati trattenuti dal collegio per la decisione. 
    Ai sensi dell'art. 32 commi 4 e 5 del D.P.R. n. 600/1973 (recante
disposizioni comuni in materia  di  accertamento  delle  imposte  sui
redditi), «4. le notizie  ed  i  dati  non  addotti  e  gli  atti,  i
documenti, i libri ed i registri  non  esibiti  o  non  trasmessi  in
risposta  agli  inviti  dell'ufficio  non  possono  essere  presi  in
considerazione a favore del contribuente, ai  fini  dell'accertamento
in  sede  amministrativa  e  contenziosa.  Di  cio'  l'ufficio   deve
informare il contribuente contestualmente alla richiesta. 5. Le cause
di  inutilizzabilita'  previste  dal  terzo  comma  non  operano  nei
confronti  del  contribuente  che  depositi  in   allegato   all'atto
introduttivo del giudizio di  primo  grado  in  sede  contenziosa  le
notizie, i dati, i documenti,  i  libri  e  i  registri,  dichiarando
comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle  richieste
degli uffici per causa a lui non imputabile». 
    La  Commissione  dubita  della  legittimita'  costituzionale  del
citato art. 32 comma 4 del D.P.R. 29.9.1973, n.  600,  per  contrasto
con gli artt. 24 comma 2 e 111 comma 2 della Costituzione, e  ritiene
pertanto di dover sollevare la relativa questione pregiudiziale. 
    La questione e' innanzitutto anzitutto rilevante. 
    Come sopra specificato in punto di fatto, soltanto con il ricorso
introduttivo del presente giudizio e con la documentazione probatoria
depositata a corredo dello stesso (cfr.  i  docc.  3,  4  e  5  delle
produzioni 2.5.2013 di parte ricorrente), il contribuente ha indicato
gli elementi dai quali si evincerebbe l'insussistenza  della  pretesa
tributaria contenuta negli avvisi di  accertamento  impugnati,  senza
peraltro dedurre ne' provare - ex art.  32  comma  5  del  D.P.R.  n.
600/1973 - di non aver compiutamente adempiuto alle  richieste  degli
uffici per una causa a lui non imputabile o per errore scusabile. 
    Dunque, secondo una piana applicazione della  norma  censurata  -
espressamente invocata dalla difesa dell'Agenzia delle Entrate - tale
documentazione non puo' essere presa in considerazione a  favore  del
contribuente nella presente sede giudiziaria, sicche' il giudizio non
puo' essere definito indipendentemente dalla sollevata  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    Del resto, come correttamente eccepito dalla difesa dell'Agenzia,
nel caso in questione non puo' neppure trovare applicazione - ratione
temporis - la disposizione correttiva inserita nel corpo dell'art. 38
D.P.R. n. 600/1973 dall'art. 22 del D.L. 31.5.2010,  n.  78,  che  ha
specificamente introdotto, a garanzia del contribuente e  proprio  al
fine  di  attenuare  il  rigore  della  preclusione  qui   censurata,
l'obbligo  del  contraddittorio  preventivo   (mediante   invito   al
contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per
fornire  dati  e  notizie  rilevanti  ai  fini  dell'accertamento   e
successivo avvio del procedimento di accertamento con  adesione),  ma
soltanto con  effetto  dagli  accertamenti  relativi  ai  periodi  di
imposta 2009 e successivi. 
    Ne'  puo'  pervenirsi  ad  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata della disposizione in esame,  nel  senso  di  dare  rilievo
esimente alla mancanza di un comportamento intenzionalmente doloso  o
fraudolento del contribuente, teso  ad  impedire  o  a  rendere  piu'
difficoltosa   l'attivita'    di    controllo    dell'amministrazione
finanziaria, stante l'esistenza di un vero e proprio diritto  vivente
(consolidatosi  anche   rispetto   all'interpretazione   dell'omologa
disposizione contenuta nell'art. 52 del D.P.R. 26.10.1972, n. 633  in
materia  di  I.V.A.)  nel  senso  che  il  divieto  di  prendere   in
considerazione, ai fini dell'accertamento in  sede  amministrativa  o
contenziosa, i libri, le  scritture  e  i  documenti  di  cui  si  e'
rifiutata l'esibizione, opera  sia  nell'ipotesi  di  rifiuto  -  per
definizione «doloso» -  dell'esibizione,  sia  nei  casi  in  cui  il
contribuente  trascuri  l'esibizione  della  documentazione  in   suo
possesso, non al deliberato scopo di impedirne la  verifica,  ma  per
errore non scusabile, di  diritto  o  di  fatto  (id  est,  per  mera
dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, etc.) e, quindi,
per colpa, essendo  sufficiente  il  fatto  obiettivo  della  mancata
risposta, a prescindere dalle motivazioni della parte privata,  ossia
dall'elemento psicologico del contribuente che omette  di  rispondere
(Cass. Civ., V, 27.9.2013, n. 22126; id., 14.11.2012, n. 19871;  id.,
27.6.2011, n. 14027; id., 30.12.2009, n. 28049;  id.,  26.3.2009,  n.
7269; id., 14.10.2009, n. 21768). 
    Ma  la  questione  pare  al  collegio  anche  non  manifestamente
infondata. 
    Giova premettere che, con ordinanza 7.6.2007, n.  181,  la  Corte
costituzionale  ha  dichiarato  la   manifesta   infondatezza   della
questione di legittimita' costituzionale del quarto  comma  dell'art.
32 del D.P.R. n. 600/1973,  sollevata  dalla  Commissione  tributaria
regionale della Lombardia in  riferimento  all'art.  53  primo  comma
della Costituzione. 
    In quell'occasione, la Corte costituzionale ha  rilevato  che  la
prospettazione del giudice a quo, secondo la quale la norma censurata
violerebbe il principio della capacita'  contributiva  in  quanto  la
denunciata decadenza dalla facolta' di produrre documenti in giudizio
impedirebbe l'accertamento della  effettiva  situazione  patrimoniale
del contribuente, sarebbe frutto di una evidente  confusione  tra  il
profilo  sostanziale  e   quello   processuale   della   tutela   del
contribuente, perche', mentre il principio di capacita'  contributiva
(art. 53 primo comma Cost.) ha natura sostanziale, in quanto  attiene
al presupposto del tributo, le preclusioni  relative  all'allegazione
in giudizio di documenti o dati hanno invece natura  processuale,  in
quanto attengono alla tutela giurisdizionale  dei  diritti  (art.  24
Cost.). 
    Dunque -  prosegue  l'ordinanza  n.  181/2007  -  la  preclusione
prevista  dalla  norma  censurata,  risolvendosi  in  un  divieto  di
allegazione in giudizio dei dati e  dei  documenti  non  forniti  dal
contribuente in risposta all'invito dell'amministrazione finanziaria,
opera sul piano esclusivamente processuale, ed e' percio' inidonea  a
menomare il principio di capacita' contributiva invocato  a  sostegno
della sollevata questione di legittimita' costituzionale. 
    Cio' premesso, e' proprio sul distinto  piano  processuale  della
tutela giurisdizionale dei diritti che si manifestano i  dubbi  circa
la legittimita' costituzionale della disposizione. 
    Difatti, il diritto alla prova costituisce «nucleo essenziale del
diritto di azione e di difesa» (cosi C.  Cost.,  23.7.1974,  n.  248;
nello stesso senso C. Cost. 3.6.1966, n. 53), che l'art. 24  comma  2
Cost. afferma essere  «inviolabile»,  al  pari  degli  altri  diritti
fondamentali (liberta' personale, domicilio,  liberta'  e  segretezza
della corrispondenza - artt. 13, 14 e 15 Cost.). 
    E' ben vero che il potere di agire in giudizio per la tutela  del
proprio diritto, cosi come il diritto di difesa,  deve,  al  pari  di
ogni altro diritto  garantito  dalla  Costituzione,  essere  regolato
dalla legge ordinaria in modo da assicurarne la effettivita'. 
    Sennonche', secondo la giurisprudenza costituzionale, mentre  non
contrastano con l'art. 24 Cost. le leggi che, circoscrivendo in  modo
piu' o meno ampio la sfera delle situazioni sostanziali, si  limitano
a determinare  l'oggetto  della  garanzia  giurisdizionale  (cfr.  le
sentenze 27.2.1962, n. 8; 14.6.1962, n. 57 e 28.12.1968, n. 138),  la
garanzia della tutela giurisdizionale viene  sicuramente  compromessa
«se si  nega  o  si  limita  alla  parte  il  potere  processuale  di
rappresentare al giudice la realta' dei fatti ad essa favorevoli,  se
le si  nega  o  le  si  restringe  il  diritto  di  esibire  i  mezzi
rappresentativi di quella realta'» (cosi' le sentenze  C.  Cost.  nn.
248/1974 e 53/1966 cit.). 
    D'altro canto, non puo' ritenersi che la  contestata  limitazione
del diritto di difesa  contenuta  nella  disposizione  qui  censurata
trovi adeguata giustificazione  in  un  ragionevole  e  proporzionato
bilanciamento con gli altri principi costituzionali  coinvolti,  come
quello di buon  andamento  e  di  imparzialita'  dell'amministrazione
pubblica (art. 97 Cost.), attraverso un giusto equilibrio  tra  mezzo
impiegato  e  scopo  perseguito,  in   un   rafforzamento   indiretto
dell'adempimento di  obblighi  tributari  ed  in  un  incentivo  alla
lealta', correttezza e chiarezza di rapporti tra cittadino e pubblica
amministrazione (cosi' C. cost.,  25.7.2000,  n.  351,  in  relazione
all'art. 16  comma  1  del  d.lgs.  30.12.1992,  n.  504,  istitutivo
dell'imposta comunale sugli immobili). 
    Difatti, da un lato si puo'  seriamente  dubitare  dell'effettiva
equipollenza    tra    il    «principio»    di     buon     andamento
dell'amministrazione ex art. 97 Cost. ed il «diritto» di difesa,  che
e' espressamente definito «inviolabile» dall'art. 24 comma  2  Cost.:
in tal senso, una chiara espressione della  prevalenza  -  a  livello
legislativo - del diritto di difesa sulle piu' svariate  esigenze  di
riservatezza dell'amministrazione o di terzi si ricava dalla norma di
chiusura di cui all'art. 24 comma 7 delle legge 7.8.1990, n.  241,  a
mente del  quale  «deve  comunque  essere  garantito  ai  richiedenti
l'accesso  ai  documenti  amministrativi  la   cui   conoscenza   sia
necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici». 
    Dall'altro,  una  tale  giustificazione  appare  proporzionata  e
corrispondente allo scopo soltanto se limitata - per l'appunto - alla
fase propriamente amministrativa  del  procedimento  di  accertamento
tributario,   di   cui   dev'essere   effettivamente   garantita   la
economicita', efficacia e speditezza. 
    Oltretutto, nell'ambito  del  giudizio  di  proporzionalita'  del
mezzo  impiegato  (la  preclusione  processuale)  rispetto  al   fine
perseguito (il buon andamento dell'amministrazione),  occorre  tenere
presente che il rispetto degli  obblighi  di  lealta'  nei  confronti
dell'amministrazione finanziaria e' gia' presidiato da una  specifica
disposizione sanzionatoria (l'art. 11 comma  1  lett.  b  del  d.lgs.
18.12.1997, n. 471), che punisce colui che, anche a titolo di  colpa,
non restituisca il questionario inviatogli dagli  uffici  finanziari,
ovvero lo restituisca «con risposte incomplete o non veritiere». 
    In ogni caso, nel momento in cui il contribuente impugna l'avviso
di accertamento in sede giurisdizionale  (o  contenziosa,  per  usare
l'espressione della disposizione), opera immediatamente il preminente
diritto di difesa ex art. 24  comma  2  Cost.,  il  quale  implica  e
racchiude il  potere  processuale  di  rappresentare  al  giudice  la
realta' dei fatti  a  se'  favorevoli,  esibendo  i  mezzi  di  prova
rappresentativi di quella realta'  (cfr.  C.  Cost.  nn.  248/1974  e
53/1966 cit.; cfr. anche C. Cost., 28.1.2010, n. 26, nel senso che la
compromissione del diritto alla prova comporta un pregiudizio per  il
diritto di difesa). 
    Diversamente  opinando  il  diritto  di  difesa,  che  di  fronte
all'autorita'  amministrativa  e  nell'ambito  del  procedimento   di
accertamento puo' certamente soffrire compressioni in quanto  non  e'
costituzionalmente garantito in termini  di  inviolabilita'  (dovendo
oltretutto essere contemperato con i doveri di lealta', correttezza e
leale  collaborazione  nei  rapporti   tra   cittadino   e   pubblica
amministrazione  ex  art.  97  Cost.),   verrebbe   irrimediabilmente
vulnerato nella successiva fase giurisdizionale  dinanzi  al  giudice
tributario, cio' che invece non pare conforme  all'art.  24  comma  2
Cost.. 
    Se e' vero infatti che la garanzia costituzionale del diritto  di
difesa non comporta per cio' solo la illegittimita' di preclusioni  e
decadenze  processuali  (cosi'  C.  Cost.  20.6.2008,  n.  221;  id.,
30.6.1994, n. 274), e' altrettanto vero che, nel caso di  specie,  la
preclusione e la decadenza del contribuente dal diritto di esibire in
giudizio i mezzi di prova non rivestono affatto  natura  propriamente
processuale,  perche'  non  si  maturano  all'interno  del   giudizio
tributario,  ma  -  prima  ed  al  di  fuori  dello  stesso  -  nella
antecedente fase amministrativa di risposta al  questionario  inviato
dall'amministrazione, oltretutto in un momento in cui il contribuente
non e' neppure assistito dalla difesa tecnica (necessaria soltanto in
giudizio - art. 12 d.lgs. 31.12.1992, n. 546). 
    Alla violazione  dell'art.  24  comma  2  Cost.  si  aggiunge  la
violazione dell'art. 111 comma 2  Cost.,  il  quale,  stabilendo  che
«ogni  processo  si  svolge  nel  contradditorio  tra  le  parti,  in
condizioni di parita' [...]», afferma il principio di «parita'  delle
armi» tra le parti, anche sotto  il  profilo  della  possibilita'  di
esercitare il diritto a difendersi provando. 
    Diversamente  da  altri  casi  scrutinati  dalla   giurisprudenza
costituzionale (cfr. l'ordinanza C. Cost. 8.5.2009, n.  143,  che  ha
dichiarato manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 246 c.p.c, in relazione all'art. 111 Cost.),
la preclusione in questione non si applica infatti -  simmetricamente
- a tutte la parti del processo, ma pone una delle due parti in causa
(il contribuente) in posizione di oggettivo svantaggio nei  confronti
dell'altra (l'amministrazione finanziaria). 
    Premesso che il principio di cui all'art. 111 secondo comma Cost.
opera con riferimento ad «ogni processo» e, pertanto, anche a  quello
tributario (cfr. C. Cost., 27.2.2009, n. 56),  che  il  principio  di
«parita' delle armi» rappresenta l'espressione, in campo processuale,
del principio di  eguaglianza  (C.  Cost.,  21.1.2000,  n.  18;  id.,
23.6.1994,  n.  253),  e  che  anche  l'esigenza  di  soddisfare   il
contraddittorio attiene  alla  tutela  di  diritti  fondamentali  (C.
Cost., 24.7.2007, n. 321), la preclusione di cui al censurato art. 32
comma 4 del D.P.R.  n.  600/1973  comporta  che  il  contraddittorio,
inteso come lo specifico oggetto della controversia  tributaria  come
derivante  dalle  rispettive  deduzioni   delle   parti   (il   thema
decidendum), non sia effettivo e compiuto, ma resti irrimediabilmente
circoscritto dalle sole allegazioni dell'amministrazione finanziaria,
senza che il  contribuente  possa  -  nel  processo  -  ampliarne  il
contenuto  per  includervi  dati  e  notizie  a  se'  favorevoli  non
tempestivamente  forniti  in  sede  amministrativa,  in  risposta  al
questionario. 
    Anche con riferimento all'art. 111  comma  2  Cost.  puo'  dunque
osservarsi che, per effetto della disposizione  di  cui  all'art.  32
comma  4  D.P.R.  n.  600/1973,  l'estensione   e   i   confini   del
contraddittorio si vengono delineando  nell'ambito  del  procedimento
amministrativo di accertamento,  cioe'  prima  ed  al  di  fuori  del
processo, che costituisce invece la sede naturale  dove  questo  deve
potersi dispiegare  compiutamente  (cfr.,  per  il  processo  civile,
l'art.  167  c.p.c.),  mediante  l'allegazione  di  tutti   i   fatti
impeditivi/estintivi della pretesa tributaria, e dei pertinenti mezzi
di prova. 
    Deve pertanto sollevarsi la relativa  questione  di  legittimita'
costituzionale, con la conseguente  sospensione  del  giudizio  e  la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.